Malattia, quando hai smesso di essere te stesso…
estratto della diretta con Yana K. Duskova Madonno
Kinesiologia emozionale RD, Kine4 coaching, Insegnante metodo Quanti-Ka©, Shiatsu, Reflessologia auricolare
Malattia, cosa vuol dire?
La parola malattia diventa un termine fuorviante quando allude a qualcosa di nefasto, che non ci lascia. Se ci spostiamo però al punto di vista olistico della conoscenza della persona vediamo come le parole – suoni attribuiti a cose e a situazioni per poterli comunicare – siano vibrazioni.
La vibrazione sonora del termine malattia è stata un po’ travisata, la scuola francese delle 5 Leggi parla di malattia come di mal à dit qualcosa mal detto, il male ha detto. Ma anche nell’etimologia della parola italiana si parla di mal-azione, azione fatta male. Mi piace pensare invece a qualcosa detto o fatto male, dove la parola male non ha un’accezione negativa, ma indica qualcosa che non rispetta la nostra struttura o funzione.
La malattia è un’azione fatta malamente rispetto al nostro cammino. Come pure diceva il dottor Bach, la malattia è un grido di aiuto dell’anima, che ci mette in guardia.
Hai smesso di essere te stesso, ti sei spostato da ciò che sei veramente facendo in modo che il tuo corpo e il tuo cervello dovessero arrivare alla malattia come risposta biologica sensata, unica cosa possibile per sopravvivere all’evento straordinario che stavi vivendo.
Essere sé stessi è stato un concetto inflazionato, malamente interpretato, a partire dalle favole. Nessuno sa cosa voglia dire perché tendiamo a plasmarci sul contesto che viviamo, pensiamo di essere noi stessi, in realtà, tutte le risposte a livello biologico, non pensato, sono per piacere o al massimo per non dispiacere. Viviamo dietro maschere perché non vogliamo essere abbandonati, esclusi dal gruppo. Associamo l’essere noi stessi a ciò che pensiamo ma il pensiero è una distorsione perché ciò che siamo è la prima risposta, quella istintuale, di pancia, la prima cosa che viene in mente. La Biologia ci insegna a prendere conoscenza di quella parte arcaica, l’hardware, quel sistema più profondo dove veramente siamo, non siamo così mentali, ma nero/bianco, 0/1, vita/non vita, mi piace /non mi piace, oppure quello che farò mi farà accettare o meno dal gruppo, che poi sono le basi dei conflitti emozionali o, più correttamente, delle attivazioni emozionali. Come dire che ogni volta che non mi permetto di essere ciò che sono, non ciò che penso, mi sto spostando dal mio cammino e il mio cervello, la mia mente farà tutto ciò che ritiene necessario, attraverso malattie o sintomi, per rispondere a quell’evento di natura straordinaria nella maniera migliore, che ritiene sensata e possibile. Per fare un esempio, quando mi obbligo a mandar giù un boccone indigesto e perciò non sono me stesso, sto mandando giù qualcosa che non vorrei come se questo fosse l’unico modo che ho per sopravvivere. Non sto ascoltando la mia parte profonda, ecco che il mio cervello dice “attenzione non abbiamo sufficiente intestino o stomaco per questo boccone troppo grande e troppo indigesto” e mi attiverà quei sintomi o malattie (dall’indigestione, a qualche blocco, oppure un polipo intestinale) perché, dice, “siccome non ho sufficiente intestino per digerire questa enorme porcata ne produco un pochino che poi butterò successivamente”.
Quando rinuncio a me, il mio corpo deve sopperire a questa richiesta di natura straordinaria.
Le emozioni hanno una loro curva fisiologica, arrivano al loro culmine e poi vanno lasciate andare. Dovrebbero essere accolte e lasciate per poter arrivare al loro termine. Purtroppo, nel nostro contesto, spesso l’emozione non la riusciamo a sfogare, la teniamo in sospeso (non posso piangere perché non si fa… non posso arrabbiarmi perché è sconveniente…), in tal modo trasciniamo questo sentito emozionale nel sentirci sbagliati e ci allontaniamo da quella rabbia o tristezza funzionali che avrebbero dovuto arrivare alla loro fine per concludere il processo… un modo non proprio conveniente per noi!
Se capisco chi sono, smetto di ammalarmi? Divento immortale?
Le attivazioni, le DHS, non si possono bloccare né prevenire, sapere come funzioniamo ci dà dei vantaggi ben precisi. Se so che sono sensibile a un certo tipo di attivazione non mi farò trascinare dal vortice emozionale ma lo accetterò, per cui non mi sentirò in colpa e sarò in pace con me stesso, senza giudizio, in modo da poter andare avanti al meglio.
La cosa da sottolineare è che le attivazioni non si possono disattivare perché il cervello le percepisce come programmi di sopravvivenza, un po’ come dire, se mi siedo su una stufa e mi brucio è importante che mi ricordi di questo. Non posso cancellarlo perché se mi dovesse ricapitare potrei pagarla cara. Ma c’è di più, questa informazione la trasmetterò anche ai miei figli, e qui parliamo di trasmissione genetica, perché oltre ad essere importante per la mia sopravvivenza, lo sarà anche per quella della mia specie, della mia famiglia.
La mente vede questi fattori programmanti come qualcosa che fa vivere un’insicurezza per il futuro. Se da bambina ho rischiato di affogare o qualcuno della famiglia è mancato per annegamento sarà più possibile che i discendenti abbiano una paura naturale dell’acqua, qualche allergia, o una qualche disfunzione legata ai reni. La mente, la genealogia ritiene importante quella informazione perché io sia sensibile a determinati eventi e mi ci tenga lontana. Magari dopo qualche generazione tutto questo passa, ma conoscere le nostre DHS, attivazioni ci permette di non lasciarci trascinare dalla paura, dalla malattia, cosa fondamentale. Non si può non averle.
Il dilemma non è ammalarci o non ammalarci ma è come viviamo la malattia che fa davvero la differenza sostanziale.
Pensiamo ai casi delle persone che vanno in terapia intensiva, un evento traumatico non solo perché ci arrivano per un problema, ma anche per il fatto che poi vengono isolate, non possono vedere nessuno, restano bloccate in un letto senza sapere cosa sarà di loro, per giunta, circondati da persone in seria difficoltà. Questo stato di paura, di non conoscenza può fare la differenza tra la vita o la morte, tra il farcela – perché ho un caro accanto e so cosa mi sta accadendo – e il non farcela – per sentirmi totalmente solo senza sapere cosa mi sta accadendo. Quando mi sento perso c’è l’attivazione del profugo, tendo a gonfiarmi e anche i sintomi tendono a peggiorare.
Qualche ospedale sta già comprendendo l’importanza della presenza di una persona cara al capezzale del malato! È la mente, il cervello che elabora gli stimoli e decide cosa attivare.
Sapere perché e dove sono fa una differenza enorme.
Le malattie nascono da conflitti. Anche quelle congenite, dove può esserci stato un trauma nel ventre materno. Da quando nasciamo, nel giro di qualche settimana, facciamo un centinaio di attivazioni, tante piccole programmazioni che poi sono come dei tasti ai quali possiamo essere più sensibili, ciò che porta a successive attivazioni.
Nelle malattie genetiche, ereditarie ci sono due fattori importanti. Se a livello genealogico la struttura ritiene di mantenere la malattia come mezzo di sopravvivenza, o superpotere, per far fronte a un’eventualità, questo viene comunicato anche alle generazioni future. Dalla predisposizione genetica si entra nell’epigenetica, si apprendono determinati comportamenti e reazioni che successivamente attiveranno la mente per una maggiore sensibilità.
Le malattie genetiche o congenite hanno una programmazione o un evento scatenante, un’attivazione biologica sensata.
Il nostro cervello non fa la differenza tra il vissuto virtuale e quello effettivo. Se immaginiamo di mordere un limone, anche se non lo stiamo facendo realmente cominciamo a salivare, questo perché il cervello lavora per sensazioni e immagini.
Un recente articolo sulla fibrosi cistica, malattia in cui i liquidi si addensano fortemente al punto di creare problemi importanti, afferma che la soluzione è guardare nell’albero genealogico per verificare se c’è stato qualche avo morto per asfissia o avvelenamento da gas. Questo perché in questa evenienza la risposta sensata è quella di produrre molto muco per evitare al corpo e alle mucose di assorbire un possibile veleno, per cui chi è affetto da fibrosi cistica potrebbe avere proprio questa memoria e perciò, per essere sicuro di non morire asfissiato, creerebbe dei fluidi molto intensi.
Malattia come una benedizione o un messaggio…
È molto romantico questo. Tempo fa c’era la convinzione della malattia come benedizione per comprendere un messaggio. Posso anche concordare in parte, ma come convincere di questo chi ha una diagnosi nefasta? A volte, il rischio è quello di non ascoltare il dolore della persona. Non credo che la malattia sia una benedizione ma un messaggio sì, non per una punizione né per il fatto di trovarsi in una qualche statistica.
Bisognerebbe apprendere che ogni malattia o sintomo è una risoluzione, vuol dire che dall’attivazione biologica si è usciti, anche se poi tutto questo va visto nello specifico. Il mio dolore alle cervicali indica che sono uscita dall’attivazione della svalutazione in questa area, non è che mi sta insegnando qualcosa. È bene comprendere il perché, la vera svolta è capire in che punto della malattia sono e come muovermi, ma da qui a vederla come una benedizione divina fa correre il rischio di sforare nell’idea della punizione.
Il termine influenza viene da influenza astrale, che nel Medioevo indicava l’influenza come la conosciamo noi ma dovuta alla punizione per qualcosa. È fondamentale sapere che non siamo vittime di un dio burlone e neanche delle statistiche di cui ci imbeviamo tutti i giorni, dai media e da tutto quanto ci circonda, per cui, ad esempio, con certi requisiti e un tipo di comportamento si può sviluppare un’infezione in una certa percentuale. Questo ci fa vivere in un costante stato di preoccupazione, pericolosissimo perché apre la strada ad altre attivazioni.
La spiritualità è altro, il gioco della paura a cui ci hanno sottoposto negli ultimi anni ci fa incorrere in questo rischio.
Ogni volta che delego lo stato o il motivo della mia salute alla religione, a un medico, a un terapeuta ho poco da lamentarmi perché non mi sono messa a capo della mia vita, lasciando fare agli altri.
La malattia come una lotta…
Si ritorna al discorso della vibrazione, questi termini non suonano bene. Un detto orientale dice: “ogni volta che fai una lotta per vendetta comincia a scavare due tombe perché nessuno vince”. Lotta presuppone un gioco di potere, uno vince e uno perde. Non è funzionale entrare nella lotta e nel combattimento perché vibrazionalmente ci si sta focalizzando sulla possibilità di perdere.
Avevo un cliente con costanti livelli di colesterolo alto nel sangue nonostante non mangiasse né carne né formaggio, assumesse integratori specifici e osservasse uno stile di vita attento.
Il colesterolo ha un’azione estremamente importante: serve per riparare quei tessuti che lacero e ulcero quando sono in un’attivazione di lotta per il mio territorio, o qualcosa che reputo tale, qui il corpo mantiene tutto il colesterolo che può, come a dire “una volta che uscirò dalla lotta e dovrò riparare i tessuti, il colesterolo sarà il primo materiale utile per fare questo”.
Ho chiesto al mio cliente per cosa era in lotta, è venuto fuori che si è sempre sentito in lotta con una malattia che gli avevano diagnosticato.
Anche livelli minimi di colesterolo vengono trattenuti perché questo serve per ristrutturare quando ce ne sarà bisogno.
La medicina classica, con i suoi grandi e indiscutibili meriti, non si sa spiegare questo.
Quando ci si incastra nei perché dell’attivazione…
La scuola più evoluta delle 5 Leggi dice che se sei nel sintomo quell’attivazione l’hai già chiusa, puoi solo comprendere per il futuro. Sei permaloso: polipi, flatulenza, tumore sono dati da una tua sensibilità perché tendi a ricadere nel solito schema e te la prendi sempre per qualsiasi cosa. Due cose puoi fare, lavorare sul perché sei permaloso per abbassare la tendenza a prendertela per tutto, oppure, importante, per non ricadere nelle recidive. L’animale è unico essere che fa un’attivazione, ne esce e non ci ricade più, l’essere umano, invece, costantemente ricade e ripete i soliti schemi (col capo, col partner, etc).
Per spostarsi dalla recidiva, prima di tutto, è importante capire, a livello fisico, biologico, chimico strutturale, a che punto sono. Ancor prima di arrivare al motivo devo capire in che modo potrei morire con quanto sto vivendo e intervenire con le cure. Non è che solo lavorando sul piano emozionale passa tutto, bisogna vedere a che punto sono della malattia utilizzando gli strumenti delle 5 Leggi, successivamente o di pari passo, posso capire il motivo, perché, altrimenti, si rischia che per andare a caccia dell’attivazione la riattivo.
Come utilizzare questi strumenti nella vita di tutti i giorni?
Vivere nella paura, nelle statistiche e nel fatto che c’è qualcuno più grande di noi che ci manovra è folle. L’unico modo che abbiamo per essere sul pezzo, responsabili (cioè, abili a rispondere), piloti della nostra vita è conoscere. Abbiamo paura di ciò che non conosciamo, sapere del decorso della malattia, a che punto siamo, toglie la paura, la cosa più importante da fare e che dà la forza di essere presente, non di delegare.
Questo approccio a me ha cambiato la vita! Si può evitare il panico, i giorni di insonnia, la preoccupazione alla scoperta di un nodulo al seno. Con le 5 Leggi si comprende quando è il momento giusto di fare qualcosa oppure se si tratta di una risoluzione, ciò che consente di essere padrone di sé stessi.
Sono sempre stata una fautrice del motto “maggiore conoscenza, maggiore libertà dalla paura, dagli schemi”, prima di tutto per sé. Capire come funzioniamo ci aiuta a fare le domande giuste ai sanitari e a non sentirci vittime.
È vero che ci sono alimenti a cui siamo più sensibili, campi magnetici, farmaci, ma non sono i principali responsabili di determinate malattie, è sempre un insieme delle cose. Anche la parte chimica del cibo è legata a quella emozionale, questo lo si vede chiaramente nelle allergie, dove la persona non è allergica all’alimento ma a ciò che la mente associa a quell’alimento. L’allergia è uno stato di allarme, si collega quel polline o quella sostanza a un evento traumatico e il cervello scatena la reazione. Ogni tipo di allergia racconta di un sentito diverso: se comincia a colarmi il naso mi sta tirando su una sensazione di paura incognita; se cominciano a prudere gli occhi questo racconta di qualcosa che non ho potuto vedere, che non riesco più a vedere; un prurito in determinate parti del corpo parla di una separazione…
Si tratta di capire non tanto il perché per andare a caccia ma vedere come funziona il corpo per fare un passo indietro e guardare la situazione nella totalità. Questo, a mio parere, rende davvero liberi di scegliere!
Faccio un esempio ipotetico e utopistico, per comprendere. Un tumore all’intestino: questo aumento di massa si sa che a un certo momento prolifera, una volta usciti dal conflitto si necrotizza, va via, sempre che le dimensioni siano accettabili, come nel caso di un polipo.
È importante sapere quando intervenire. Nella fase attiva, mentre la massa sta proliferando, non è utile perché essa serve a far “digerire” senza bisogno di produrre altro intestino, spesso, dopo un intervento, una chemio, etc, il tumore può ritornare anche più aggressivo perché è stata rimossa la parte che inizialmente serviva per digerire.
Magari un intervento nella fase di soluzione potrebbe risultare più utile e funzionale.
La miopia
permette di vedere da vicino e male da lontano. Il superpotere che dà è: ho un pericolo vicino e devo concentrare il focus da vicino, mi è più utile vedere da vicino. È qualcosa di biologico.
estratto della diretta con Yana K. Duskova Madonno
Kinesiologia emozionale RD, Kine4coaching, Insegnante metodo Quanti-Ka©, Shiatsu, Reflessologia auricolare