All’origine delle incomprensioni
Estratto dell’intervista RigeneraLife con la dott.ssa Rossana Becarelli
medico, antropologa, esperta in umanizzazione delle cure, filosofo della scienza
Cosa troverai in questo articolo:
Hai capito cosa ti ho detto?
Uomini e donne, due universi molto diversi, tra loro sembra esserci una barriera insormontabile.
Ho lavorato per 30 anni come dirigente di ospedale e la mia relazione professionale di direttore e antropologa era prettamente con gli uomini. Per la mia personale percezione, tranne una ristrettissima cerchia, i maschi sono molto semplici, hanno un rapporto con la lingua diretto e immediato, non sono tortuosi nella loro immaginazione. Le donne, al contrario, lo sono tantissimo, anche se questo le rende affascinanti, misteriose, ma talvolta diventano fastidiose agli uomini.
Una delle maniere con cui le donne riequilibrano i rapporti di forza è quella di avere una mente decisamente più capace di architettare, intrigare, ma per riuscire a imporsi là dove il maschio predomina socialmente ed economicamente.
Questa condizione di subalternità rispetto al maschio porta le donne, non tutte ovviamente, a mascherare molto i loro sentimenti, un comportamento che appartiene a un retaggio, a una forma culturale che si è affermata nel nostro modo di essere dove le donne tendono a essere più ingannevoli. Nel mio lavoro tendevo a fidarmi più di un uomo che di una donna.
La donna è sicuramente più astuta, ha una modalità tipica del linguaggio per cui dice qualcosa per intenderne un’altra o, comunque, per raggiungere un obiettivo tramite una via non lineare, rivelando un’intenzione diversa rispetto a quella che manifesta.
Questo è alla base di molte incomprensioni della coppia. Il mondo delle rappresentazioni maschili è semplice, i maschi hanno interessi più limitati, chiari, fra di loro i rapporti sono più simmetrici; le donne, anche fra di loro, non sono ugualmente schiette, spontanee sempre per via della loro posizione di debolezza, di fragilità, di protezione.
Oggettivamente quando diciamo che le donne sono multitasking è perché fanno più cose nello stesso momento ma anche perché hanno sviluppato canali linguistici paralleli per cui nello stesso momento dicono una cosa e potrebbero pensarne un’altra e, sempre nello stesso momento, voler raggiungere un risultato raccontando una cosa diversa.
Non me ne vogliano le donne, ma questo è ciò che nel tempo ho maturato e che considero una vera e propria chance perché il linguaggio è una materia meravigliosa, plastica, una fonte inesauribile di creatività. Quest’ultima si manifesta maggiormente attraverso un uso complesso della parola anche con un utilizzo che il linguaggio “rivela” (la parola rivelare ha un doppio significato: scoprire da un lato e velare doppiamente, dall’altro). Questa funzione ambigua del linguaggio è qualcosa che le donne maneggiano con maggiore abilità di un maschio.
È assolutamente inconsapevole questo nella donna.
È difficile valutarsi in maniera imparziale perché tutto questo appartiene anche a una tradizione millenaria, in cui c’è tutta una simbologia legata alla donna ( lunare, ombrosa, anche per il dover proteggere il mistero della gravidanza). Basti considerare che Il sesso maschile è esposto, manifesto, prorompente, mentre quello femminile è interiore, occulto, nascosto. Immaginiamo quanto questo impregni la nostra natura e modifichi l’uso [del linguaggio], uno strumento così fondamentale nella relazione e nella comunicazione.
Genitori e figli…
L’altra relazione profondamente asimmetrica è quella tra genitori e figli, verticale per ragioni anagrafiche, a cui si aggiunge l’obbligo di educare i figli.
Un vecchio libro toscano, il giornalino di Giamburrasca mette in luce l’ipocrisia degli adulti del predicare bene e razzolare male. Quanto proclamano viene smentito dai loro comportamenti!
Se la relazione non è franca ed esplicita, e difficilmente lo è tra genitori e figli, anche questi ultimi mettono in atto quelle tattiche da subalterni, tipiche delle donne, per cui, si proteggono non dicendo tante cose.
La bugia in famiglia è un dato quasi imprescindibile. Vorremmo sempre che ad una frase corrispondesse una realtà. Il linguaggio è una modalità della civiltà umana, gli animali hanno una modalità di relazione tra loro molto più diretta. Ci sono tribù nel mondo che hanno la capacità di comunicare attraverso il pensiero. Quando si fa questo non si può sorridere a una persona e nello stesso momento volerla uccidere. Quando tu comunichi senza parole ci deve essere identità tra ciò che comunichi e le tue intenzioni poiché l’altro è in grado di leggerti dentro. Questa comunicazione completamente trasparente del pensiero, che potremmo aver posseduto nelle origini, si è velata nel corso del nostro sviluppo e ha reso il linguaggio uno strumento più duttile e più enigmatico. Questo certamente ha accresciuto la diversità dagli animali e la varietà delle possibilità ma non ha certamente migliorato il rapporto di verità.
Da madre, devo dire che tutti i genitori vorrebbero un alto livello di verità dai figli perché desiderano verificare, in maniera anche un po’ poliziesca, che essi mantengano gli impegni presi, che non si mettano nei guai. La bugia è un rivelatore di ciò che l’altro vuole da noi, diversamente dalla colpa (chi mente viene considerato colpevole). In un rapporto così stretto tra genitore e figlio, se quest’ultimo ti dice una bugia, la prima cosa da fare è interrogarti su di te, perché tuo figlio ha dovuto dirti una bugia? Perché evidentemente quella franchezza che ti aspetteresti da lui trova in te un ostacolo perché quella verità tu non la vuoi né conoscere né sapere e non l’accetteresti.
L’omettere, il non dire pone subito in azione una domanda fondamentale su che genitori siamo e cosa vogliamo dai nostri figli. Noi non lo sappiamo mai fino in fondo cosa vogliamo ma il linguaggio dei nostri figli e l’eventuale distanza tra quanto raccontano e fanno è un elemento, che usiamo contro di loro accusandoli di non essere franchi, ma che ci mostra che siamo noi i primi responsabili di questa necessità che viene messa in atto.
Quanto incide il livello culturale sulle incomprensioni?
Il livello culturale addirittura ci può far arrivare a diventare stranieri parlando la stessa lingua e vivendo la stessa realtà sociale, storica e geografica.
La cultura ha tutta una serie di sottintesi, ambiguità, allusioni, non detti, ma ricostruibili in base a dei codici, che rendono quasi incomunicabili situazioni distanti dal punto di vista sociale.
Il linguaggio si completa con tante cose, con l’intonazione ad esempio. Siamo in grado di distinguere livelli culturali diversi semplicemente nell’emissione vocale perché quest’ultima ha già introiettato tutto quello che la cultura ha imposto e quanto dato alla nascita. In Inghilterra i ceti sociali si distinguono in base all’accento. In Italia, gli accenti sono regionali e non sono tanto indicatori ma la forma dell’emissione vocale è frutto di un grande imprinting culturale.
I bambini mantengono la respirazione diaframmatica per alcuni mesi dalla nascita poi, da quando cominciano a parlare, contraggono il diaframma impedendo la respirazione diaframmatica. Possiamo immaginare quanto sia inconsapevole e pervasiva la fisiologia.
La voce è molto significativa della nostra identità, sesso, genere. La formazione culturale a cui siamo soggetti agisce in maniera subdola. Due persone si possono fraintendere anche solo per questo, i loro codici sono diversi. Abbiamo l’abitudine di pensare di essere capiti, questa è una ingenua autoreferenzialità.
Se un inglese dice grazie a tavola gli viene servita altra acqua, in altri contesti grazie ha il significato di basta così.
Immaginiamo tutto questo nelle infinite occasioni del nostro linguaggio, che possono andare dalla mimica facciale, dall’intonazione all’uso di particolari formule, frasi idiomatiche che magari sono tipiche del luogo di appartenenza.
Ci sono le lingue tipiche di chi ha bisogno di proteggersi, dissimulare, come la smorfia napoletana e certi linguaggi tipici dei detenuti. Ci sono anche espressioni cadute in disuso.
Come la filosofia impregna inconsapevolmente la politica e la rappresentazione della realtà, la religione lo fa in maniera di gran lunga superiore ad essa perché è più ancestrale, radicale, ha una presa viscerale antica.
La reazione emotiva determinata da certe parole nella propria lingua scatenano reazioni anche fisiologiche, fanno diventare rossi, alzare la pressione, ma ascoltate in un’altra lingua non hanno lo stesso effetto perché non c’è il collegamento diretto con la fonetica.
L’autoinganno che distorce la comunicazione
Gran parte delle incomprensioni che rileviamo negli altri derivano da un autoinganno, la malafede, il vivere in uno stato permanente di inganno con sé stessi, che può diventare anche una patologia.
Le nostre bugie sono la causa di una vita infernale che costruiamo per noi: è molto difficile farmi capire da un altro se io stesso sono già portatore di menzogne, di elementi distonici nella mia interiorità.
Se non ho chiarezza con me stesso è probabile che io manifesti dei sintomi, indizi nel corpo che rendono visibile il problema, e nella relazione, e questo non detto nella comunicazione comunque passa. Allo stesso modo di come impatta un certo equilibrio interiore.
Tanti uomini omosessuali latenti hanno un rapporto incerto con il linguaggio perché si negano una parte importante nella loro vita perché inaccettabile.
La dissonanza che la persona manifesta produce nell’altro effetti tutt’altro che gradevoli.
Partire da noi per farci comprendere
Se vogliamo avere un rapporto autentico, con i figli ad esempio, dobbiamo interrogarci se quanto diciamo loro è frutto della nostra sincera convinzione oppure è un’adesione alle convenzioni a cui noi stessi non abbiamo voglia di ottemperare. Un bambino ha un recettore molto acuto perché non addestrato ai sovracodici del linguaggio, per cui ci coglie in fallo quasi subito ed è capace di capire che non stiamo dicendo la verità.
Altra attenzione importante è quella di non avere aspettative nella relazione comunicativa. Se vogliamo essere compresi dobbiamo chiederci, sono comprensibile oppure no? Se non lo sono devo chiedermi il motivo: è troppo difficile da dire? non mi è chiaro? voglio dire qualcosa di diverso?
La prima parte per fare in modo di essere compresi riguarda noi.
La seconda parte è chiederci se siamo stati compresi.
Non sempre la comunicazione ha lo scopo di unire…
La parola unire sostituisce con astuzia la parola convincere perché quando parliamo vogliamo convincere, partiamo dal presupposto di avere ragione mentre gli altri hanno torto.
Sono capace di farmi convincere?
Ho quell’ascolto ricettivo, imparziale, neutrale per cui in una conversazione sono disposto a mettere da parte la mia posizione per arrivare a convenire che l’altro ha più ragione di me?
Di solito non siamo d’accordo con i nostri figli, li vogliamo convincere, ma chiediamoci quanto siamo disponibili ad accettare la tesi di nostro figlio, il fatto che abbia ragione e noi torto.
Il linguaggio è rivelatore e velatore della verità.
Possiamo recuperare parti di noi per farci consegnare dall’altro una verità implicita non di parole ma espressa in altre maniere che però siamo in grado di capire.
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