L’Esperto risponde
La Verità del Sintomo
Ho difficoltà ad accettare l’idea che la malattia possa avere un senso…vi chiedo lumi.
Gemma
Risposta di Francesco d’Assisi Cormino, docente in relazione d’aiuto e scrittore
La malattia è un fenomeno universale, presente in ogni tempo, per qualunque vivente: pianta, animale, umano. Dunque non può essere un accidente, un infortunio deprecabile o addirittura uno sgarro della natura. È qualcosa di insito nella vita, che serve alla vita. Tutti abbiamo un corpo ricco di cicatrici, cisti, caverne, di spostamenti pressori ed ormonali, di cambi umorali. A guardarli sono una sorta di biografia scritta dal corpo e nel corpo. Siamo attrezzati da esperienze ancestrali con programmi per rispondere agli eventi esterni, nel modo biologico più sensato per ciascuno. Una legge che si mostra già nell’ameba, quando coi suoi pseudopodi si allontana dal tossico e si avvicina al nutrimento.
Non c’è un fisiologico o un patologico, come celebrato nei manuali medici; c’è una fisiologia normale e una speciale. E quest’ultima si attiva quando il nostro ambiente è interrotto nel suo ordinario da un evento altrettanto speciale. Oggi non andiamo a caccia, non si partorisce in una caverna, non affondiamo nella palude sconosciuta; abbiamo il supermercato sotto casa, riceviamo una retribuzione con la quale compriamo quanto serve, ma il nostro percepito emotivo è quello solito: temo di morir di fame se sono povero all’improvviso, mi sento sottoposto, non sono valido nella mia attività, come madre, ecc.
Talvolta i conflitti non lasciano segni organici ma segnano i nostri comportamenti, quando accendono relè cerebrali.
Il maschio diventa più femminile, la femmina più maschile. Arriviamo a farci megalomani, mitomani, anaffettivi. La cultura corrente guarda ciò come difettoso o malato, invece è biologico; appropriato per la vita di quell’essere nel suo habitat affettivo.
Il sintomo ci comunica Verità. Ma quale?
La prima lettura (adopero il termine volutamente, perché oggettiva, non opinabile o interpretabile) è biologica. Ad esempio un eczema ti dice che stai risolvendo un conflitto da perdita di contatto; questo tuttavia non esaurisce la risposta perché il qualcosa (eczema) chiama in causa un qualcuno, cioè una relazione. Non avvertiamo perdita di contatto da esseri che non amiamo o di cui non abbiamo bisogno. Soprattutto non percepiremmo quella perdita se non ci fosse stata una prima volta.
Il punto non è esorcizzare il male maligno, ma consentire a quel blocco in una nostra esperienza di vita di ripristinare il suo flusso. Quel sintomo ci riporta a un evento di amore interrotto.
Già nel grembo di mamma avviamo conflitti che attivano le aree cerebrali corrispondenti. Ad esempio sento un rumore di sega circolare e nella mia memoria ancestrale esso evoca la belva che ruggisce e non posso scappare. Oppure mamma si arrabbia, si restringono i vasi e faccio un conflitto di penuria di nutrimento o di perdita del boccone aria.
Vengo al mondo e qui mi tagliano il cordone ombelicale (carestia di ossigeno), mi danno una sberla, sono espulso dal mio ambiente (uterino) e catapultato in quello terrestre (divento un anfibio); mi portano in incubatrice, sono preso da mani sconosciute di infermiere che cambiano ad ogni turno, poi mamma e papà che litigano, il fratellino che mi prende i giocattoli. In effetti nel primo anno di esistenza (gravidanza più 4/5 mesi dalla nascita) accumuliamo già un mucchio di conflitti, attivando numerose aree cerebrali. Dopo può sempre accadere un conflitto ulteriore, ma il grosso è già avvenuto (imprinting). In seguito tutto ciò che somiglia a mamma che si arrabbia, a papà che urla, riaccende gli stessi focolai cerebrali. È un processo ritmato dall’analogia.
Ogni situazione è vissuta nel corpo secondo il ricordo di quella prima volta. Tale è il cosiddetto binario: non abbiamo cognizione del fatto, ma resta la sensazione, la traccia emotiva. Il coniuge che ci lascia può riportarci, ad esempio, a mamma che una sera ci “abbandonò”, soli con la baby sitter, a noi sconosciuta. Il cane che ci terrorizza riprende la memoria di una morsicatura infantile.
Il sentito psicologico risponde ai nostri costrutti mentali su ciò che accade, una macchina pensiferante che lavora incessantemente e ingannevolmente nel corso del tempo. I pensieri sulla vita non sono la vita.
Il corpo risponde sempre a ciò che non capiamo nel modo suo proprio, scriveva Ivan Paplov.
Il sentito biologico è un percepire non un ragionare: è quello stimolo che attiva in automatico il mio sistema neurovegetativo, un atto involontario. Siamo nello spazio della etologia non della psicologia. È quando, a dirla con Lorentz una persona in altura aumenta i globuli rossi per carenza di ossigeno, una pianta cresce in altezza per prendere la luce in un bosco fitto, o la pelliccia del cane diventa più fredda in un clima freddo.
Ecco noi siamo biologicamente anche quella pianta, quel cane o quella persona.
Ecco alcuni esempi tratti dal mio libro La verità del sintomo.
Immaginiamo che un uomo riceva, la sera, una mail inaspettata che risolve il suo rapporto di lavoro. Se non ha altre entrate economiche il suo percepito biologico potrebbe essere “adesso morirò di fame”, oppure “me l’hanno messo a quel servizio”, o ancora “non riesco come padre a nutrire i miei figli”. Ovvero le tre cose insieme. Il differente percepito seguirà da un proprio codice acquisito da piccolo nelle esperienze condivise con mamma o con papà. Per uno scoiattolo a cui sottraessero le ghiande il percepito sarebbe comune a tutti gli scoiattoli, gli umani invece variano in ragione dei propri codici acquisiti. Ad esempio, da piccolo, qualcuno del suo gruppo potrebbe aver perso il lavoro e i genitori ne erano partecipi come evento che avrebbe sottratto a quella persona la possibilità di acquistare il cibo (non aver soldi per noi è come non aver ghiande per lo scoiattolo).
I lupi sono mammiferi i cui comportamenti individuali e sociali sono assai vicini al mammifero umano.
Studiandoli ti accorgi di quanto i programmi della fisiologia speciale e le cosiddette costellazioni schizofreniche (pag 285) siano fenomeni al servizio della vita. Quando ad esempio il cucciolo giovane ingaggia la sfida per il primato col capobranco e ne esce sconfitto, il suo tenore ormonale (testosteronico) si abbassa e di conseguenza si femminilizza. Questo fa sì che quella sfida renda più ricca la vita del branco. Perché assicura che a guidarlo sia il più adatto e che “il perdente” non permanga in una tenzone perenne che minerebbe la vita sociale del branco.
È l’esempio preciso di come un disordine momentaneo (la sfida tra due maschi) sia portatore di un ordine più solido e prospero per l’insieme.
La verità del sintomo è un libro che parla di vita, non di malattia.
L’ho scritto per riguardo alla vita, cioè a mamma. Una mamma reclusa nella menzogna medicalizzante del male malattia.
L’intento che mi ha guidato è stato quello di onorare il suo dolore, facendone qualcosa di bello per me, per gli altri e anche per lei stessa. Il dare un senso spirituale, amorevole al prezzo che lei pagava e noi con lei.
È una riconciliazione di natura spirituale, di anima, conquistata dopo un iniziale senso di colpa. Quando il figlio vuole ad ogni costo viversi innocente nella propria appartenenza familiare, si priva del diritto a compiersi nel suo destino. Il: “mamma, papà, faccio come voi” è un atto d’amore bellissimo, ma non vitale, attuato nella privazione e nella stagnazione.
La spinta allo studio e alla scrittura della “Verità del sintomo” è insorta anche all’interno della mia passione per l’arte del comunicare. E nulla più del sintomo propizia verità e profondità dell’essere che si mostra sul palcoscenico del corpo.
Il disordine comporta nuovo ordine, il male è il cominciamento di un bene ulteriore.
articolo scritto da Francesco d’Assisi Cormino